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La serra morte

Fiora Blasi sullo spettacolo La Serra Morte

Essere una compagnia numerosa nel 2024

Pochi giorni prima di venire travolta dalle feste natalizie, il 17 dicembre, sono andata a vedere lo spettacolo La serra Morte della giovanissima compagnia Fang-ta, fondata nel 2022 da otto ex studenti del Centro Internazionale la Cometa, quasi l’intera classe del triennio 2018-2022. Vedere delle e degli ex allievi diplomati da poco,  sperimentarsi autonomamente emoziona e infatti sia io, che Lilli, che Maria- presenti quello stesso giorno- ci siamo commosse, ma non è stato solo questo.

Lo spettacolo è un lavoro sorprendentemente maturo, che può ancora crescere con una più netta definizione stilistica, ma stratificato e in cui la complessità dei temi e dell’intreccio riesce a tradursi in modo fluido in azione e dialogo. Il teatro che vediamo oggi in Italia è sempre più monologante. Le ragioni sono soprattutto produttive, ma via via sembrano diventate anche scelte di senso. Si fatica a vedere lavori anche a due o a tre, in cui si esprimano più punti di vista. In questo testo scritto da Simone Guaragna, membro di Fang-ta, il confronto fra i tre attori e le due attrici in scena è vivissimo. Il linguaggio per certi aspetti guarda ai testi contemporanei argentini e spagnoli, ma mantiene anche un legame con testi più classici, in cui c’è spazio per l’accadimento.  Lo spettacolo distopico racconta di un “quartiere periferico in un luogo indefinito del futuro. Dell”incontro tra un clochard che porta con sè una strana macchina e quattro ragazzi che amano inventare giochi pericolosi.  La serra-morte è un eco-noir dai risvolti inaspettati nel quale il mantra è uno solo:

Bisogna ricordare per dimenticare

Nella drammaturgia le molti riflessioni sull’oggi non diventano mai demagogiche, grazie anche alla fisicità dei personaggi che cercano nelle relazioni una possibilità se non di salvezza di gioco. La regia amplifica il potenziale del testo con delle soluzioni che mettono in relazione spazio, visione e parola. Ed è tangibile la capacità di ogni componente della compagnia di essere al servizio del progetto, il loro conoscersi, l’aver valutato- con la fatica che questo necessariamente comporta- quale fosse la ripartizione dei ruoli più giusta per questo lavoro. Non sorprenderebbe che per un nuovo spettacolo chi si è occupato di regia sia attore e viceversa. Forse nel tempo si definirà con precisione chi farà cosa, ma trovo molto fertile quest’allenamento a cambiare i ruoli pur rispettando preferenze e inclinazioni di ognuno, il provare a stare in questo equilibrio fatto di confronti e di conoscenza via via più profonda.

Io li ho conosciuti nel 2021, nel loro terzo e ultimo anno alla Cometa per un mese intensivo dal clown a Shakespeare, il grosso del lavoro era stato fatto,  ma era comunque insolita la loro capacità  di collaborare. Si sa che ogni gruppo è diverso e questo è riuscito a trasformare le difficoltà dovute all’aver studiato recitazione durante la pandemia, nel trovare soluzioni creative alle difficoltà e nel sostenersi a vicenda. Come loro stessi raccontano in un’intervista: “(…) Sicuramente l’accademia ci ha permesso di avere degli strumenti per plasmare la nostra idea in qualcosa di concreto, attraverso il linguaggio del teatro (…) Il nostro segreto è credere l’uno nell’altro incondizionatamente, un passo avanti per uno di noi è il passo avanti del gruppo; dietro ovviamente c’è anche la diversità, cerchiamo di non dimenticare mai che ciascuno di noi ha il suo portato, la sua storia, che è unica e rende unico l’insieme.”

Sembrano ragazzi e ragazze usciti dagli ’70, con il bello del loro tempo.  Non è semplice perseverare con questo spirito nel 2024, ma è proprio il loro saper essere compagnia che definisce l’identità di questo gruppo talentuoso.

Ed è stato inevitabile pensare a Gianfranco Isernia, che aveva lavorato a lungo con loro sulla scrittura e sceneggiatura  stimolando e riconoscendone il potenziale!

Fiora Blasi
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